Ringrazio molto dell’invito a questo vostro Congresso che mi permette innanzitutto di conoscere dal di dentro una organizzazione che ha stretto una partnership strategica con ActionAid. Leggendo i documenti congressuali, trovo nella vostra organizzazione una visione articolata, che si esprime in modo qualificato su un ampio spettro di problemi. In secondo luogo sono felice di essere qui perché mi auguro che questo momento possa essere l’inizio di una collaborazione a livello locale tra le due organizzazioni.
Il mio intervento si focalizza su quattro questioni specifiche che si trovano alla confluenza tra l’operare della vostra organizzazione e della mia.
Prima riflessione: in molti contesti è sempre più sfumato il confine tra chi aiuta e chi è aiutato; ciò dipende in particolare dall’allargarsi della fascia di povertà e dalla strutturazione dei redditi in relazione alle professioni. Questo dato di fatto può a mio avviso essere essere la molla per una nuova stagione di attivazione in cui gruppi di persone con capitale economico equiparabile, ma capitale sociale e culturale differenziato, possano allearsi per rivendicazioni comuni. Un processo di questo tipo richiede una forte operazione in termini culturali volta a creare di nuove identità collettive, anche mediante la chiarificazione di parole chiave e incentivi che possano appunto aggregare gruppi sociali differenziati.
Seconda riflessione: Cittadinanza Attiva ha un’esperienza decennale nel monitoraggio delle politiche socio-sanitarie. Credo che sia quanto mai necessario un impegno nel monitoraggio dal basso delle politiche di assistenza già presenti nel nostro paese e quelle che saranno a breve introdotte (sostegno all’inclusione attiva – SIA per il 2016/17 e sua evoluzione negli anni successivi). La SIA si propone oggi come “spina dorsale” intorno alla quale far ruotare tutti gli interventi di contrasto alla povertà ed è pertanto ancora più importante che i beneficiari di questa misura possano contribuire con la loro voce a renderla più efficace. La partecipazione dei beneficiari alla valutazione delle misure che li riguardano è ad esempio una prassi consolidata in Francia 1. A mio avviso c’è una specie di barriera mentale nel pensare che le persone che ricevono un sussidio possano valutare la politica che lo prevede; questa barriera deriva da un giudizio morale, secondo il quale chi è aiutato non è autorizzato a esprimere un parere sull’aiuto ricevuto. Tra tutti i servizi pubblici, quelli più resistenti all’idea di valutazione dal basso sono quindi quelli indirizzati alle persone in situazione di difficoltà economica. Questo concetto, però, oltre ad essere discutibile — il sussidio non è un aiuto caritatevole, ma è una giusta misura per garantire a tutti una vita dignitosa — è anche pernicioso, in quanto la condizione di povertà implica una serie di meccanismi cognitivi che le persone che non la sperimentano hanno difficoltà a comprendere 2.
Terza riflessione: Nel vostro documento CittadinanzAttiva e comunità locali scrivete: “Le politiche di contenimento della spesa trattano le comunità come puri ‘centri di costo’ e trascurano o, addirittura, ostacolano le miriadi di esperienze che dimostrano la capacità di cittadini di produrre autonomamente risorse preziose (e non sostituibili) per il miglioramento dei servizi e per la salvaguardua del territorio”. Condivido pienamente questa affermazione ed essa è il cuore di un progetto che stiamo portando avanti insieme a più di 15 enti gestori delle funzioni socio-assistenziali dell’area della Città Metropolitana di Torino 3. In questo progetto stiamo costruendo insieme ai direttori, alle assistenti sociali e alle operatrici degli enti gestori delle possibili nuove pratiche di intervento che prevedano, in un’ottica di welfare generativo, la restituzione e rigenerazione di risorse, nel quadro della collaborazione tra enti gestori e beneficiari dei servizi di questi.
Quarta riflessione: nelle #pistedilavoro vi proponete di operare per il riconoscimento di nuovi diritti. A questo proposito vorrei portare qui una delle lezioni apprese nel corso del nostro lavoro pluriennale in percorsi di riflessione sull’uso del denaro con persone in situazione di difficoltà economica (una “nostra” versione di educazione finanziaria): oggi è sempre più importante ragionare sui diritti concernenti le scelte economiche delle persone. I cittadini hanno diritto di fare “buone” scelte in campo economico e devono essere messi nelle condizioni per farlo. In questo senso si deve trovare un giusto bilanciamento tra azioni di empowerment e formazione delle persone e un’attività normativa e regolatoria che, nell’alveo di quello che nel linguaggio anglosassone si chiama liberal paternalism, possa garantire che l’opzione di default, la scelta che non è scelta, sia comunque favorevole e non pregiudiziale per il cittadino.
Questo testo è una versione rivista del mio intervento al Congresso di CittadinanzAttiva del 9 aprile 2016. Sono stato invitato ad esprimere un punto di vista sui documenti congressuali in quanto rappresentante di un’associazione “amica” di CittadinanzAttiva, ActionAid.
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- Cfr. la guida Participation des personnes bénéficiaires du revenu de solidarité active au dispositif. ↩
- Cfr. in questo senso le illuminanti ricerche di Sendhil Mullainathan ed è interessante leggere la descrizione del progetto Poor for the poor a p. 13 del report The contribution of meaningful Social Innovation to reducing poverty and social exclusion in Europe dell’European Anti-Poverty Network. ↩
- Il progetto ha come capofila il Consorzio IN.RETE di Ivrea ed è finanziato dalla Città Metropolitana di Torino; lo realizziamo in partnership con l’associazione Art. 47. ↩