
Dal 2008 ho cercato il modo di sostenere i produttori di piracui di Prainha (Pará, Brasile). Nello scorso agosto sono stato in Amazzonia. Così, ho deciso di visitarli. L’ultima volta che ero stato lì era nel 2010 e volevo capire che cosa fosse cambiato. Inoltre, intendevo raccogliere delle interviste video, per far parlare in prima persona i pescatori del loro duro e delicato lavoro.
Nell’organizzazione della visita mi ha aiutato l’amica Ivonete, che, con me, è responsabile del piracui nell’Arca del Gusto di Slow Food. Abbiamo composto una piccola equipe, formata da Revelino e Flodivaldo, della Colônia de Pescadores, fotografa e cara amica, Karen, che studia all’Università delle Scienze Gastronomiche e che, fra l’altro, è mia figlia.
Abbiamo raccolto molte e qualificate informazioni e delle belle testimonianze, che cercherò di presentare su questo blog o altrove.
Ero già convinto in passato, ma ora lo sono ancor di più, che è urgente che i pescatori producano meno piracui, mantenendo lo stesso guadagno. Questo significa che chi già produce un piracui di alta qualità, continuerà a farlo; gli altri dovranno aumentare la qualità. E la qualità deve essere risconosciuta. Solo l’organizzazione dei produttori e i giusti incentivi dei commercianti locali potranno generare questa trasformazione.
Questo cambiamento non è solo importante per la qualità della vita dei pescatori, ma anche per l’ambiente, visto che la super-produzione di piracui sta minacciando la fonte della produzione stessa, ovvero il pesce acari1.
Il problema non è la domanda: il piracui ha un mercato macro-regionale (Santarém, Manaus, Belém, forse Fortaleza): quasi 10 tonnellate di piracui sono esportate da Prainha ogni anno; chiunque abbia usato in cucina il piracui capisce che è una quantità eccezionale.
Ma in questo mercato non vi sono incentivi per chi produce con qualità: chi produce un buon piracui per lo più è pagato meglio dal commerciante locale, ma il suo piracui è venduto al consumatore mescolato con quello di cattiva qualità. Il consumatore locale non può scegliere tra un piracui buono e cattivo, o addirittura non sa che vi sia un buon piracui e un cattivo piracui.
Oltre a ciò, benché vi siano dei punti fermi su quali processi produttivi fanno il “buon piracui”, permangono molti dubbi, in particolare in merito alla conservazione. E’ inoltre molto importante che la questione sanitaria sia sollevata “dal basso” e non imposta dall’alto. Oggi, non esiste nessun controllo sanitario; ma, prima o tardi, arriverà e se è implementata senza tenere conto delle specificità locali, molti produttori verranno colpiti – e forse alcuni tra i migliori produttori. C’è in Brasile una discussione molto interessante riguardante l’adattamento delle regole sanitarie alla piccola produzione (cfr. questa notizia, in portoghese), ma c’è ancora molta strada da fare2.
Puoi trovare una relazione più approfondita dei risultati della visita qui.
Mi auguro veramente che qualche attore (governativo o non governativo) possa interessarsi alla questione e impegnarsi nel sostegno alle persone del posto per promuovere una produzione più sostenibile e che migliori la qualità di vita locale.
